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MORTE DI UN MATEMATICO NAPOLETANO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 novembre 1993
 
di Mario Martone, con Carlo Cecchi, Anna Bonaiuto, Renato Carpentieri, Licia Maglietta (Italia, 1992)
 
Debutto cinematografico di un 32 enne napoletano, uomo dell'avanguardia teatrale italiana. Ed interpretazione-monstre di un altro uomo di teatro (regista, oltre che attore), Carlo Cecchi, che vorremmo vedere più di spesso al cinema. Scritta in collaborazione con la romanziera Fabrizia Ramondino, una testimonianza "da parte di coloro che l'hanno conosciuto, ma che nella sceneggiatura si è mescolata con l'immaginazione degli autori sugli ultimi giorni di vita del matematico Renato Caccioppoli. Geniale matematico, insegnante - faro per generazioni di studenti, saggista, nipote di Bakunin, suicidatosi nel 1959.

MORTE DI UN MATEMATICO è un film sul conforto e sull'indifferenza. Conforto di una città che offre un calore sconosciuto a tante altre; indifferenza che genera solitudine, da un medesimo ambiente che può assistere con altrettanta superficialità al dramma umano. Come spiega bene Martone stesso: "Ho cercato di rappresentare la doppia natura del rapporto di Renato con Napoli. Da un lato l'enorme generosità con la quale la città si concede ai suoi figli, come se dei personaggi come Renato non potessero che uscire dal ventre di una città così complessa, e ricca. Dall'altro, il lato oscuro di Napoli, che ti deruba, ti rifiuta qualsiasi consolazione quando più ne hai bisogno".

In un continuo, allucinato vagabondare in quegli ambienti, il protagonista - vestito dall'identico, consunto impermeabile - traduce questo rapporto di amore-odio con una commovente partecipazione, alla quale Carlo Cecchi conferisce tutta la forza dovuta.

Martone traduce l'originalità, la commozione del soggetto e dell'ispirazione in una visione fin troppo sapiente, bagnata dalla luce dorata di Luca Bigazzi: la propria inesperienza la sentiamo non certo nella carica umana, civile che anima il suo film. Piuttosto in un certo compiacimento registico, una certa enfasi sottolineata, ad esempio, dai movimenti di macchina che si perdono nel nulla. Corrimano di scale, cieli azzurri inseguiti per significare solitudini e trascendenze un po' troppo ricercate.

Ma, nel quadro del cinema italiano che sappiamo, il film splende per la sua ricerca (anche politica, psicologica, oltre che esistenziale) che lo impreziosisce come pochi.


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